MALALA YOUSAFZAI

 

Un bambino, l’insegnante, un libro una penna possono cambiare il mondo

 

E’ questa di Malala una frase sulla quale bisogna riflettere bene, perché noi, che siamo tanto sicuri di noi stessi e crediamo che andare a scuola, studiare sia solo un dovere, dobbiamo pensare che dall’altra parte del mondo c’è un bambino, una ragazza, che desiderano solo questo, cioè studiare, andare a scuola. Ciò perché in alcuni paesi della Terra, come nella valle di Swat, la città del Pakistan dove viveva Malala, gruppi di fanatici al potere costringono la popolazione a non mandare più a scuola le proprie figlie, secondo loro un’azione contro la loro cultura religiosa. Ma tutto questo non impedì a Malala di lasciar perdere le proprie idee, di dire a voce alta ciò che pensava fosse giusto, anche mettendo a rischio la propria vita, come successe il 9 ottobre 2012, quando la ragazza con i suoi amici vennero attaccati dai talebani mentre si trovavano a bordo dello scuolabus.

Malala fu colpita in testa vicino al sopracciglio sinistro, procurandole danni gravissimi, ma questo non le impedì di rinunciare a quello in cui credeva: aiutare le ragazze e i bambini di qualunque parte del mondo, sia che fossero rifugiati o senza istruzione.

Per questo, per la lotta contro la violazione dei diritti dei bambini e dei giovani, e per il diritto dell’istruzione per tutti loro, a soli diciassette anni riceve il premio Nobel per la Pace e, con il denaro ricevuto, cercò di migliorare la qualità d’istruzione delle ragazze, e coinvolgere le persone più potenti del mondo a darsi da fare per aiutare tutte le ragazze come lei. Noi non ci rendiamo conto di quanto siamo fortunati, diamo tutto per scontato ma, come dice Malala, “è quando qualcuno ti toglie la penna di mano che capisci quanto sia importante l’istruzione”. La giovane pakistana invita quindi tutti a prendere penne e libri perché, secondo lei, sono le armi più potenti che servono, principalmente a noi ragazzi, per portare avanti le nostre idee e lottare per ciò in cui crediamo. Perchè la scuola è un diritto fondamentale, grazie al quale i ragazzi non solo imparano a leggere e a scrivere, ma anche a confrontarsi con gli altri e soprattutto a vivere in società e avere un futuro migliore.

 

 

 

 

 

 

l Premio Nobel per la Pace è uno dei massimi riconoscimenti che un individuo può ricevere nella sua vita.  Un'onorificenza  che solitamente arriva a metà del percorso di un uomo o di una donna, quando l'esperienza, l'attivismo politico- sociale e l'impegno in alcuni campi dello scibile hanno fatto in modo che questo individuo si sia altamente distinto, apportando notevoli benefici all'umanità e contribuendo positivamente e pragmaticamente alla  pace nel mondo.
E' stato quindi sorprendente - ma allo stesso tempo degno di una profonda riflessione -  vedere questo prestigioso premio  assegnato a soli 17 anni, un'età in cui la coscienza politica, intesa come vita e azione all'interno di una comunità, è ancora acerba e in continua trasformazione. Ma non poteva essere altrimenti, visto che  Malala Yousafzay si è aspramente battuta per un diritto che in Occidente viene preso troppo spesso sotto gamba ma che è alla base della civiltà e del futuro di questo pianeta: il diritto all'istruzione e all'educazione. Considerare poi che nel 2015 vi è ancora l'idea di un'emarginazione sociale che vuole le donne fuori dal sistema di alfabetizzazione e di istruzione rende questo premio ancora più importante nelle mani di Malala.

 

Diritto che in Pakistan, come in molti altri Stati, viene ancora oggi messo a dura prova da sistemi politici repressivi che negano l'accesso a scuola e l'educazione ai bambini e alle bambine, così come negano molti dei diritti fondamentali che dovrebbero essere garantiti ad ogni uomo. Per rivendicare questo diritto, per sè e per tutte le donne, la giovane attivista pachistana ha sfidato il sistema talebano mettendo a rischio la propria vita, senza mai tacere, consapevole dell'estrema forza che ha l'istruzione in una società che utilizza l'ignoranza, la forza e l'esclusione sociale come strumenti di repressione e di controllo.
"La penna è davvero più potente della spada", disse lo scrittore Earle Bulwer-Lytton (sebbene molti conoscono questa grande massima citata nel film Batman) ed è effettivamente così. Ma affinché una penna venga utilizzata è necessario saper leggere e scrivere. Leggere per conoscere, informarsi ed informare. Scrivere per mettere nero su bianco e fissare la propria opinione, l'esperienza di vita e divulgarla al resto del mondo, creando una catena continua e circolare del sapere.

La frase di Malala Yousafzay mette in evidenza gli elementi necessari affinché le società abbiano alla base la convivenza civile, la pace e il rispetto reciproco: un bambino, un insegnante, un libro e una penna. Un bambino perché è necessario che la formazione dell'individuo avvenga sin dalla più tenera età attraverso un insegnante - inteso nel senso più generico del termine, ovvero come qualcuno in grado di condividere la sua saggezza, il suo sapere e la sua esperienza - un libro e una penna, ovvero leggere e scrivere e dunque il diritto all'istruzione. Diritto sancito da molti documenti internazionali, come la Dichiarazione universale dei diritti umani dell'ONU, la Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989, ratificata dall’Italia con la Legge n. 176 del 27 maggio 1991. Dichiarazioni che mettono per iscritto che l'accesso al sapere tramite il sistema scolastico debba essere garantito a tutti, indipendentemente da etnia, ceto sociale, religione e sesso. Garantito, gratuito ed obbligatorio almeno per i primi livelli fondamentali - in Italia l'obbligo c'è  fino alla terza media - per dare al bambino gli strumenti per una crescita consapevole, autonoma e garante dello sviluppo della propria personalità.

 

Eppure organizzazioni internazionali confermano ancora oggi che nel mondo ci sono milioni di bambini e bambine a cui questo diritto viene negato, a cui non viene data un'istruzione base e che quindi verranno completamente esclusi dal consorzio umano. Perché l'ignoranza è causa di esclusione sociale, ma anche economica e politica: non essere istruiti preclude l'individuo dal trovare un lavoro qualificante e gratificante dal punto di vista della carriera e dello stipendio, oltre ad emarginarlo da una fetta di società con la quale non avrà gli strumenti necessari per confrontarsi. Una condanna ad un'esistenza al buio.
Questo avviene poiché molti bambini sono costretti ad andare a lavorare piuttosto che frequentare la scuola, ma tanti sono i motivi per cui il diritto all'istruzione non è ancora un diritto universale concretamente applicato: guerre, regimi totalitari, povertà, marginalizzazione, mancanza di aiuti. Cause che allo stesso tempo sono anche la conseguenza della negazione del diritto stesso: una maggiore istruzione ed educazione, infatti, diminuirebbero di molto questi fattori.

Una parità tra sessi è poi principio inalienabile dal quale partire. In questo caso, non bisogna allontanarsi poi di molto, visto che la condizione femminile è una questione all'ordine del giorno in molti Stati europei ed extraeuropei e la parità dei diritti è ancora oggi un punto per cui si battono numerose associazioni e movimenti. Ovviamente cambiano le rivendicazioni: se in Italia si rivendica ad esempio il diritto ad un salario uguale per uomini e donne, in zone come Africa, India, Medio Oriente quello che per cui si lotta è che le bambine possano varcare la soglia della scuola proprio come i loro coetanei maschi. Una lotta ad armi impari, visto che a livello globale oltre il 50% delle bambine è esclusa dall'accesso all'istruzione.

Cosa fare? Innanzitutto continuare a rivendicare questi diritti attraverso la sensibilizzazione e l'informazione, fornendo ai Paesi in cui c'è questa emergenza gli strumenti necessari per la rivendicazione, come insegnanti qualificati, materiale didattico e fondi economici per mettere in piedi un sistema ben oleato. Puntare soprattutto sulle donne, informandole e rendendole consapevoli che il diritto all'istruzione e all'educazione non è appannaggio di pochi, ma punto principale dal quale partire per una società più giusta, equa e civile.

 

 

 

 

 

 


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